La città sospesa
Quella della città sospesa è una storia che si racconta al contrario. Dagli applausi. Ognuno di essi è stato come l’ultimo possibile, ogni standing ovation quella insuperabile, ogni finale una festa, in cui si è celebrato il ritorno all’umanità, alla dolorosa meraviglia dell’andare al cuore, alla fragilità dell’essere al mondo, quella fraternità solare raccontata dai versi di Mariangela Gualtieri, quell’ansia di fraternità, chiamata Resistenza – invocata dal Pilade di Pasolini.
VolterraTeatro è stato “un incalzante susseguirsi di pure scosse emotive” – ha scritto Renato Palazzi sul Sole 24 ore, – come scalare montagne diverse per ritrovarsi sulla stessa cima, felici, euforici, sospesi. Non solo Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza, non solo Carte Blanche, la squadra organizzativa e quella tecnica, non solo le compagnie, i meravigliosi artisti ospiti, non solo i collaboratori artistici, tanti, tantissimi, che ogni anno lasciano i propri avamposti di resistenza sparsi nel mondo e tornano a Volterra, alla Fortezza, al festival, alla casa da cui sono partiti. Bambini, adulti, giovani, anziani, operai, commercianti, associazioni, politici, rappresentanti delle istituzioni, assessori, sindaci, giornalisti, agenti di polizia penitenziaria e spettatori: questo VolterraTeatro è stato per tutti ma soprattutto di tutti; come se l’intera Valdicecina avesse preso una rincorsa per arrivare su una cima dove stare in silenzio insieme, ad ascoltare, se stessi, il proprio tempo, le proprie mancanze, per stringersi intorno a quei quasi duecento operai della Smith Bits di Saline di Volterra a rischio licenziamento cui l’intero festival è stato dedicato; perché i riflettori restassero accesi sulla loro vicenda, ma ancor più perché si accendessero sulla vicenda della nostra quotidiana barbarie, del nostro sfrenato rincorrere il nulla. E proprio a Saline il cuore del festival ha battuto per due giorni, là dove in questi mesi quella deriva del capitalismo ha mostrato il suo volto con feroce evidenza. Pensando il gesto poetico dove era necessario che venisse pensato, là dove c’è una ferita. Da un lato illuminando una fragilità con un atto di sospensione e silenzio, accendendo focolai originali di pensiero e riflessione, e dall’altro riconquistando all’arte la pregnanza di un significato e di un valore. Migliaia di persone hanno cantato sotto le stelle con Ginevra di Marco, Cisco e Peppe Servillo che hanno dedicato agli operai della Smith un concerto indimenticabile.
Oltre settecento spettatori schierati di fronte a circa centocinquanta attori, nella salina di Saline di Volterra, hanno applaudito a Pilade/Campodeirivoluzionari, messinscena della Compagnia Archivio Zeta degna di uno dei più straordinari hangar europei, che ha raccolto per un anno quasi quaranta cittadini di Volterra intorno al testo di Pasolini, e che ha messo in scena gli stessi operai della Smith Bits. “Le parole del vecchio poeta assassinato quarant’anni fa mai suonarono più attuali. Stringenti. Nell’indignazione, nella profezia, nella poesia sussurrata da corpi di ogni età, bambine, donne mature o giovani, uomini forti, ragazzi, operai in scena, barbe che sembrano dubitare del candore della bandiera che ostentano. Dolore, rabbia, memoria. Uno spettacolo bellissimo, un capolavoro di umanità, accolto da ovazioni per minuti e minuti, di un pubblico che non vuole lasciare quella polvere di sale che dappertutto si deposita, tutto copre, brucia”, scrive Massimo Marino sul Corriere.
Avevamo immaginato una città sospesa, in cui gesto e parola extra-ordinari abitassero luoghi e tempi vicini all’infinito, e in cui i cittadini stessi si sospendessero attraverso un gesto altro sotto la guida dei maestri. Al tramonto, vicino all’infinito: in nessun caso è stato solo un modo di dire; nella Fortezza Medicea, in quel Camposanto Vecchio a picco sulla Valdicecina, tra i fumi delle fumarole di Sasso Pisano, sulla cima vicino al cielo della Rocca Sillana di Pomarance, nella cattedrale bianca della Salina di Saline di Volterra, nel silenzio notturno del Parco Fiumi, nella romantica Badia Camaldolese, sono risuonate parole e note altissime, difficili, necessarie, commoventi. L’architettura del festival si è trasformata nel viaggio straordinario di una comunità.
Perché se è vero, come è vero, che l’unico modo per far crescere un territorio attraverso l’arte è quello di mirare altissimo, senza paura, senza mediazioni, un festival deve rischiare e insistere a oltranza, gettando lo sguardo oltre la resistenza normale e normalizzante della comunità stessa. Fare cultura, infatti, non vuol dire fornire prodotti, ma innescare meccanismi per i quali i cittadini vengano quotidianamente esposti alla bellezza, e possano godere di un senso di possibilità di movimento, di opportunità.
E così la Fortezza Medicea è stata ancora una volta quel laboratorio alchemico unico al mondo in cui Armando Punzo e la sua Compagnia della Fortezza, ormai ventisettenne, hanno “giocato” a rifare l’uomo, quest’anno con Shakespeare Know Well, il primo studio di un capolavoro, una tempesta che cancella l’esistente, “l’irreversibile apocalisse di ogni forma possibile”, scrive sempre Palazzi, per gettare sul piatto la questione ultima dell’essere umano, il mistero dell’esistenza stessa. Da luogo di pena a istituto di cultura, il carcere ancora una volta è stato crocevia dell’Europa delle Arti; e così è stato per l’intera Valdicecina, per Volterra, Pomarance, Montecatini V.C., Castelnuovo V.C., palcoscenici naturali per le parole di Pilade/Pasolini, per una straordinaria Cavalleria Rusticana, per lavori sofisticatissimi dedicati al mondo dell’infanzia: spettacoli, incontri, convegni, mostre d’arte, progetti editoriali, dibattiti, sono andati in scena sotto l’attento sguardo di una trentina di professionisti arrivati da tutta Europa, nell’ambito dei progetti europei “PICP – prison form penal institute to cultural place”, e “Pas des deux”, per osservarci, studiare il nostro metodo, stilare, a partire dal nostro lavoro, le buone pratiche del fare cultura.
Come per scompigliata meravigliosa gemmazione nuclei di significato si sono aggregati intorno alla parola “sospensione”. Meraviglia, silenzio, stupore, nostalgia, solitudine… il festival è stato il compendio di quella vertigine di fronte all’ignoto che l’arte dovrebbe sempre generare, sporgendo ciascuno sul nulla, per ripartire da zero, e rifondarsi ogni giorno, rigenerare le proprie priorità, ricostruire il proprio sguardo, e la propria sensibilità.
Questa storia si racconta con i numeri. Oltre 50.000 utenti unici sono stati raggiunti dai post della pagina facebook ufficiale del festival, oltre 350.000 sono le visualizzazioni dei post creati dalla pagina stessa. Visitatissimo il sito internet: quasi 500.000 accessi complessivi! Novanta i giornalisti accreditati da tutta Italia. Un migliaio di spettatori hanno avuto accesso alla Fortezza Medicea: impossibile farne entrare di più! Più di 700 spettatori alla Salina di Saline di Volterra, oltre mille al concerto “La Fabbrica Sospesa”, circa 350 tra adulti e bambini hanno partecipato agli spettacoli dedicati all’infanzia. Oltre 150 paganti hanno affollato la Badia Camaldolese di Volterra per la Cavalleria Rusticana. Affollatissimo fino al limiti della sicurezza il teatro De Larderel di Pomarance per il debutto dello spettacolo A-Solo di Aniello Arena. Sold out: ovunque.
Migliaia e migliaia di persone hanno letteralmente invaso la città, gli alberghi, i ristoranti, i punti di incontro, la libreria dell’Araldo che come ogni anno ha ospitato serate di cultura e relax tra una selezione di testi legata all’intera drammaturgia del festival. Tredici strutture ricettive coinvolte solo per l’ospitalità degli artisti, oltre 300 notti prenotate direttamente dal festival, impossibile da calcolare con precisione l’enorme ricaduta economica di questa operazione culturale, le stanze prenotate dal pubblico e i pasti consumati nei ristoranti.
Un anno d’oro, dunque. Gli spettatori accorsi da tutta Italia sono stati coinvolti in un viaggio intenso, in un “discorso per frammenti” sull’idea di sospensione, e allo stesso tempo osservatori privilegiati del percorso di “sospensione” di un’intera comunità.
Grazie allora a chi ha reso possibile questo festival, agli artisti che arrivano a Volterra con la stessa gioia di chi torna a casa, alle istituzioni lungimiranti e illuminate che lo appoggiano e lo rendono possibile, ai cittadini che si sono lasciati coinvolgere con entusiasmo in una progettualità densissima. Grazie alle associazioni, ai commercianti, ai ristoratori e agli albergatori di tutti e quattro i comuni per la grande rete di accoglienza ad artisti e pubblico che ogni anno ci fa sentire un po’ più vicini all’Europa. Grazie soprattutto a Saline di Volterra, agli operai della Smith Bits: in questi tempi di debolezza, indifferenza e alienazione, la loro Resistenza ha risvegliato anche la nostra.
CARTE BLANCHE
Lascia un Commento
Occorre aver fatto il login per inviare un commento