Festival VolterraTeatro 2014
La XXVIII edizione, il festival VolterraTeatro, diretto da Armando Punzo, ha fatto del Carcere e della Città un solo grandissimo palcoscenico naturale, di unire luoghi, pratiche artistiche e persone in un’unica grande opera d’arte.
Confermando la storica vocazione alla contaminazione dei più avanzati linguaggi dell’arte il festival ha intrecciato teatro, musica, danza, poesia e arti visive in un progetto denso e organico che ha abitato tutti gli spazi di Volterra e degli altri comuni del festival, Pomarance, Castelnuovo Val di Cecina, Montecatini Val di Cecina dal 21 al 27 luglio.
A partire dalla tragedia dei crolli delle mura medievali di Volterra il festival ha riflettuto quest’anno sull’idea di “Ferita”.
Oltre la ferita visibile della terra, per avvicinarsi a quella invisibile, umana, personale, dell’artista, e insieme di una città che ha bisogno di ricucire le relazioni, di ritessere i rapporti umani, di ripensarsi e ricostruirsi in quanto comunità. In una città ferita un festival che metta al centro una ferita ancora più profonda, che vada sotto la superficie, sotto quello che si può vedere, per aprire gli occhi sulla terra che frana sotto i nostri piedi in silenzio.
Una ferita dolorosa ma estremamente luminosa da immaginare come occasione per rendere visibile il punto di rottura, per stillare dal dolore una bellezza intensa, per trasformare la debolezza in una grandissima forza.
Carcere e Città, dunque, come luoghi in cui mettere in scena l’impossibile che si realizza attraverso l’arte: il dolore che si trasfigura in immensa bellezza.
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Continuo a credere che la comunità degli artisti debba mettersi insieme e aprirsi agli Uomini sensibili, con questi lavorare, e cercarne complicità per sogni inattuali. Non vedo altre possibilità per uscire da una condizione di marginalità e di vincente conformismo. Con chi provare a condividere la propria forzata solitudine, se non con chi ne ha consapevolezza e vuole liberarsi da questa condizione? Come sottrarsi altrimenti alla rupe alla quale si è incatenati come Prometei ai confini della terra? Per un dato tempo la solitudine prodotta dalla propria ferita, dalla visione critica del mondo, dal sentirsi traditi dal genere umano, può dare l’ebbrezza di una dolce illusione da cullare in solitudine, può apparire esaltante ed eroica, unicità rara e preziosa, ma in fondo, ne sono convinto, si tratta soltanto di una trappola tutta umana, culturale, falsamente consolante, che si perpetua pigramente in noi. Una condizione sterile che ha impregnato il nostro Paese e la nostra città sotterraneamente, sotto la sua pelle e che bisogna riconoscere come un malanno da annientare. Bisogna guardare oltre le mura che si innalzano fiere in noi, bisogna scalarle, raggiungerne la cima e aprirsi ad una nuova visione. Non voglio nascondermi dietro gli orrori
della vita come la abbiamo immaginata finora, non voglio denunciare guerre, violenze e soprusi di uomini di potere e politici corrotti, non voglio portare in me il marciume della nostra esistenza ridotta a queste nefandezze, non voglio provare pietà, per sentirmi ipocritamente e illusoriamente superiore; voglio potermi complimentare con chi non riproduce l’esistente, con chi non lo ripete, ma con fatica cerca e produce nuova realtà umana, nuovi rapporti di connessione tra l’uomo e il mondo, tra l’uomo e l’altro uomo.
Trovare viene dal cercare, ed è l’imperativo categorico che ogni artista deve seguire come e oltre ogni credo che non serva ad addormentarci, ad annientarci nelle trame di un’esistenza senza speranza, che assecondi il nostro essere più profondamente animale, dove questo essere non ha nulla di puro ed innocente.
Armando Punzo